Robert Adams, fotografo statunitense, sostiene che “occorre tempo per dare forma allo spazio”.
E' una frase che risuona spesso in me, mentre visito luoghi mai visti prima o luoghi già visitati.
Questa serie di immagini delle Dolomiti è stata raccolta in diversi anni di frequentazione, spesso tornando e ritornando negli stessi luoghi, nella speranza di trovare quello che cercavo, perché la natura non è mai uguale a sé stessa.
Esiste una differenza tra l'azione del "guardare" e del "vedere" un paesaggio, esattamente come tra l'ascoltare ed il comprendere una frase.
Questa è per me la differenza tra un'immagine ed una fotografia: l'immagine nasce dall'incontro tra la realtà e la propria immaginazione, e viene interpretata attraverso l'apparecchio fotografico. Occorre avvicinarsi alle montagne, per capirne le forme, le ombre e le luci, che cambiano continuamente, a seconda dell'ora del giorno e delle stagioni, occorre aspettare le giuste condizioni meteorologiche, perché il cielo e le nuvole creino armonia con le cime sottostanti.
L'emozione arriva quando tutti questi aspetti si amalgamano alla perfezione, e solo allora l'immagine diventa "nostra", perché riesce a rappresentare un luogo come lo sentiamo.
Perciò credo sia possibile dare una interpretazione personale ad un luogo solo dopo averlo conosciuto bene, e per fare questo ci vuole tempo.
Perché ho usato il linguaggio del bianco e nero? Se fotografare significa “scrivere con la luce”, fotografare in bianco e nero è come "scolpire" la luce : tolta la distrazione del colore, l'immagine si carica di silenzi, le forme esaltano la loro plasticità, le “sculture di roccia” emergono in tutta la loro potenza evocativa, ciò che vedo collima con ciò che sento, e le emozioni che vorrei trasmettere si avvicinano a quello spirito romantico, quel senso di ammirazione e soggezione che provarono i viaggiatori dell'Ottocento e i primi alpinisti che vi si cimentarono.
Ma perché le Dolomiti sono universalmente definite “belle”? Qual è il segreto del loro fascino straordinario?
Dopo la “scoperta” scientifica delle Dolomiti, i viaggiatori romantici vi riconobbero la trasfigurazione ideale di quei paesaggi che tramite pittori come Turner e Friedrich avevano fino allora solo immaginato.
John Murray nel 1837, compilatore della prima guida di viaggio nelle Dolomiti, utilizza l’aggettivo “sublime” per definire il paesaggio dolomitico: “Nell’insieme esse conferiscono al paesaggio un’aria di originalità e di sublime grandiosità che può essere compiutamente apprezzata solo da chi le ha viste.”
È stata la cultura del XVIII secolo, fra Illuminismo e Romanticismo, a elaborare una “estetica del sublime” così come la conosciamo e come siamo portati a considerarla oggi attraverso il pensiero di letterati e filosofi di allora.
Per Immanuel Kant "il bello è un sentimento legato al piacere, mentre il sublime è legato al timore, all'angoscia, alla terribilità. Il sublime ispira rispetto, il bello amore, il sublime commuove, il bello attrae".
Hegel considera che la bellezza dell'ideale e sublimità vanno accuratamente distinte, ma con significati diversi: "...Nell'ideale del bello l'interno compenetra la realtà esterna. Nel sublime, invece, l'esistenza esterna, in cui la sostanza viene portata ad intuizione, è abbassata nei confronti della sostanza..."
Anche Arthur Schopenhauer distingue con precisione il bello dal sublime: "il bello ci conquista con la piacevolezza del suo oggetto, che non ci stancheremmo di ammirare e contemplare, mentre il sublime suscita in noi altrettanta ammirazione per la bellezza, mescolata, però, ad una chiara consapevolezza di una forza minacciosa che risiede in quell’oggetto, e che potrebbe rivolgersi contro di noi e perfino annientarci con irrisoria facilità".
Edmund Burke lo identifica in un sentimento di apprensione e di turbamento per qualche forza o paesaggio naturale, che ci fa sentire indifesi, ma non a causa di un pericolo immediato – poiché la paura prevarrebbe su ogni considerazione estetica –, bensì per una situazione che ci lasci uno spazio di relativa sicurezza, nel quale contemplare e lasciarci rapire dal fascino dello smisurato e del grandioso.
La parola “sublime” viene infatti da “sub”, sotto, e “limen”, soglia: perciò indica quello che si trova in prossimità del limite tra finito e infinito, tra relativo e assoluto, tra reale e immaginario, ma anche tra l’orrido e il mistero che vi si racchiude.
Il mistero però fa appello a qualcosa di più profondo, all’interno di noi, una barriera interiore, che però consideriamo come un ostacolo esterno, che, prima o poi, si spera di riuscire a oltrepassare.
Nel 1864 esce Il libro “The Dolomite Mountains” nel quale Gilbert e Churchill raccontano i viaggi effettuati, insieme o da soli, percorrendo un po' tutta la regione dolomitica. La loro opera, con splendide illustrazioni, porta grande fama alle Dolomiti, facendole inserire nel “Tour Alpino”: reso di moda dalla corrente del pensiero romantico come variante del “Grand Tour”.
John Ruskin, ispirandosi alle forme geometriche riconoscibili e collegabili ad elementi volumetrici precisi, durante i suoi viaggi in Italia ha interpretato queste montagne come strutture artificiali, piuttosto che semplici creazioni naturali: "Le montagne sono le grandi cattedrali della terra, con i loro portali di roccia, i mosaici di nubi, i cori dei torrenti, gli altari di neve, le volte di porpora scintillanti di stelle."
Per gli abitanti delle Dolomiti, questi luoghi trasmettevano un’atavica soggezione poiché associata alle vestigia di un mondo immaginario e terrifico, proiettando verso tali luoghi paure e credenze popolari.
Più recentemente l’ordine gigante che domina queste architetture naturali spinse gli intellettuali romantici ad ambientarci le vicende di creature fantastiche e leggendarie.
Karl Felix Wolff, nei primi decenni del XX secolo, raccolse le tradizioni orali del popolo Ladino per comporre un racconto sull’immaginario Regno dei Fanes, nel quale gli elementi leggendari e fiabeschi si intrecciano con quelli mitologici, in una sorta di grandioso “epos” alpino, che non conosce eguali al mondo.
Alle Dolomiti, il grande Dino Buzzati, scrittore, giornalista, pittore e valente alpinista, oltre a romanzi, scritti, dipinti e illustrazioni, dedicò questa riflessione, incentrata sull'impossibilità di descrivere con un solo aggettivo le loro numerose sfumature:
“Sono le ghiaie bianche, sparse sui ballatoi, sui terrazzini, sulle minime sporgenze. Battute dal sole, esse risplendono, e riverberano intorno una diffusa luce. Proprio a queste ghiaie candide è dovuto in gran parte la magnificenza delle rupi, la loro serenità sontuosa; tanto è vero che d’inverno, quando la neve le ricopre, i picchi risultano alquanto immiseriti…E da tutto questo, per chi guarda dal fondo delle valli, che colore risulta? è bianco? giallo? grigio? madreperla? è cenere? è riflesso d'argento? è pallore dei morti? è l'incarnato delle rose? Sono pietre o sono nuvole? Sono vere oppure è un sogno?”
Fonti di ispirazione:
Norbert Wolf, "Friedrich" Le opere, Taschen, 2015
Edmund Burke, “Inchiesta sul bello e il sublime”, 1757, Aesthetica, ed.2019
Immanuel Kant, “Osservazioni sul sentimento del bello e del sublime”,1764, Fabbri Editori ed.1996
Arthur Schopenhauer, “Il mondo come volontà e rappresentazione”,1819, Laterza, ed.2009
Wilhelm Friedrich Hegel, “Estetica”,1842, a cura di D.Giugliano, Einaudi Classici, ed.2017
John Ruskin, “Viaggio in Italia”, 1840-1845, a cura di A.Brilli, Passigli Editore, ed.2018
J. Gilbert & G.C. Churchill, “Montagne Dolomitiche”, 1864, a cura di B. Pellegrinon, Nuovi Sentieri, ed.2002
Karl Felix Wolff, “I monti pallidi. Leggende delle Dolomiti” (1925), Cappelli, ed.1987
Robert Adams, “La bellezza in fotografia”, Bollati Boringhieri, 1981
Dino Buzzati, “Le montagne di vetro”, a cura di E. Camanni, Vivalda, 1989
Dino Buzzati, “Sulle Dolomiti. Scritti dal 1932 al 1970”, a cura di M. A. Ferrari, Editoriale Domus, 2005
Marco Ferrazza, “Cattedrali della Terra”, Vivalda, 2008
Alberto Bregani, “La montagna in chiaroscuro”, Ediciclo Editore, 2017
Accademia adriatica di filosofia "Nuova Italia", www.accademianuovaitalia.it
E' una frase che risuona spesso in me, mentre visito luoghi mai visti prima o luoghi già visitati.
Questa serie di immagini delle Dolomiti è stata raccolta in diversi anni di frequentazione, spesso tornando e ritornando negli stessi luoghi, nella speranza di trovare quello che cercavo, perché la natura non è mai uguale a sé stessa.
Esiste una differenza tra l'azione del "guardare" e del "vedere" un paesaggio, esattamente come tra l'ascoltare ed il comprendere una frase.
Questa è per me la differenza tra un'immagine ed una fotografia: l'immagine nasce dall'incontro tra la realtà e la propria immaginazione, e viene interpretata attraverso l'apparecchio fotografico. Occorre avvicinarsi alle montagne, per capirne le forme, le ombre e le luci, che cambiano continuamente, a seconda dell'ora del giorno e delle stagioni, occorre aspettare le giuste condizioni meteorologiche, perché il cielo e le nuvole creino armonia con le cime sottostanti.
L'emozione arriva quando tutti questi aspetti si amalgamano alla perfezione, e solo allora l'immagine diventa "nostra", perché riesce a rappresentare un luogo come lo sentiamo.
Perciò credo sia possibile dare una interpretazione personale ad un luogo solo dopo averlo conosciuto bene, e per fare questo ci vuole tempo.
Perché ho usato il linguaggio del bianco e nero? Se fotografare significa “scrivere con la luce”, fotografare in bianco e nero è come "scolpire" la luce : tolta la distrazione del colore, l'immagine si carica di silenzi, le forme esaltano la loro plasticità, le “sculture di roccia” emergono in tutta la loro potenza evocativa, ciò che vedo collima con ciò che sento, e le emozioni che vorrei trasmettere si avvicinano a quello spirito romantico, quel senso di ammirazione e soggezione che provarono i viaggiatori dell'Ottocento e i primi alpinisti che vi si cimentarono.
Ma perché le Dolomiti sono universalmente definite “belle”? Qual è il segreto del loro fascino straordinario?
Dopo la “scoperta” scientifica delle Dolomiti, i viaggiatori romantici vi riconobbero la trasfigurazione ideale di quei paesaggi che tramite pittori come Turner e Friedrich avevano fino allora solo immaginato.
John Murray nel 1837, compilatore della prima guida di viaggio nelle Dolomiti, utilizza l’aggettivo “sublime” per definire il paesaggio dolomitico: “Nell’insieme esse conferiscono al paesaggio un’aria di originalità e di sublime grandiosità che può essere compiutamente apprezzata solo da chi le ha viste.”
È stata la cultura del XVIII secolo, fra Illuminismo e Romanticismo, a elaborare una “estetica del sublime” così come la conosciamo e come siamo portati a considerarla oggi attraverso il pensiero di letterati e filosofi di allora.
Per Immanuel Kant "il bello è un sentimento legato al piacere, mentre il sublime è legato al timore, all'angoscia, alla terribilità. Il sublime ispira rispetto, il bello amore, il sublime commuove, il bello attrae".
Hegel considera che la bellezza dell'ideale e sublimità vanno accuratamente distinte, ma con significati diversi: "...Nell'ideale del bello l'interno compenetra la realtà esterna. Nel sublime, invece, l'esistenza esterna, in cui la sostanza viene portata ad intuizione, è abbassata nei confronti della sostanza..."
Anche Arthur Schopenhauer distingue con precisione il bello dal sublime: "il bello ci conquista con la piacevolezza del suo oggetto, che non ci stancheremmo di ammirare e contemplare, mentre il sublime suscita in noi altrettanta ammirazione per la bellezza, mescolata, però, ad una chiara consapevolezza di una forza minacciosa che risiede in quell’oggetto, e che potrebbe rivolgersi contro di noi e perfino annientarci con irrisoria facilità".
Edmund Burke lo identifica in un sentimento di apprensione e di turbamento per qualche forza o paesaggio naturale, che ci fa sentire indifesi, ma non a causa di un pericolo immediato – poiché la paura prevarrebbe su ogni considerazione estetica –, bensì per una situazione che ci lasci uno spazio di relativa sicurezza, nel quale contemplare e lasciarci rapire dal fascino dello smisurato e del grandioso.
La parola “sublime” viene infatti da “sub”, sotto, e “limen”, soglia: perciò indica quello che si trova in prossimità del limite tra finito e infinito, tra relativo e assoluto, tra reale e immaginario, ma anche tra l’orrido e il mistero che vi si racchiude.
Il mistero però fa appello a qualcosa di più profondo, all’interno di noi, una barriera interiore, che però consideriamo come un ostacolo esterno, che, prima o poi, si spera di riuscire a oltrepassare.
Nel 1864 esce Il libro “The Dolomite Mountains” nel quale Gilbert e Churchill raccontano i viaggi effettuati, insieme o da soli, percorrendo un po' tutta la regione dolomitica. La loro opera, con splendide illustrazioni, porta grande fama alle Dolomiti, facendole inserire nel “Tour Alpino”: reso di moda dalla corrente del pensiero romantico come variante del “Grand Tour”.
John Ruskin, ispirandosi alle forme geometriche riconoscibili e collegabili ad elementi volumetrici precisi, durante i suoi viaggi in Italia ha interpretato queste montagne come strutture artificiali, piuttosto che semplici creazioni naturali: "Le montagne sono le grandi cattedrali della terra, con i loro portali di roccia, i mosaici di nubi, i cori dei torrenti, gli altari di neve, le volte di porpora scintillanti di stelle."
Per gli abitanti delle Dolomiti, questi luoghi trasmettevano un’atavica soggezione poiché associata alle vestigia di un mondo immaginario e terrifico, proiettando verso tali luoghi paure e credenze popolari.
Più recentemente l’ordine gigante che domina queste architetture naturali spinse gli intellettuali romantici ad ambientarci le vicende di creature fantastiche e leggendarie.
Karl Felix Wolff, nei primi decenni del XX secolo, raccolse le tradizioni orali del popolo Ladino per comporre un racconto sull’immaginario Regno dei Fanes, nel quale gli elementi leggendari e fiabeschi si intrecciano con quelli mitologici, in una sorta di grandioso “epos” alpino, che non conosce eguali al mondo.
Alle Dolomiti, il grande Dino Buzzati, scrittore, giornalista, pittore e valente alpinista, oltre a romanzi, scritti, dipinti e illustrazioni, dedicò questa riflessione, incentrata sull'impossibilità di descrivere con un solo aggettivo le loro numerose sfumature:
“Sono le ghiaie bianche, sparse sui ballatoi, sui terrazzini, sulle minime sporgenze. Battute dal sole, esse risplendono, e riverberano intorno una diffusa luce. Proprio a queste ghiaie candide è dovuto in gran parte la magnificenza delle rupi, la loro serenità sontuosa; tanto è vero che d’inverno, quando la neve le ricopre, i picchi risultano alquanto immiseriti…E da tutto questo, per chi guarda dal fondo delle valli, che colore risulta? è bianco? giallo? grigio? madreperla? è cenere? è riflesso d'argento? è pallore dei morti? è l'incarnato delle rose? Sono pietre o sono nuvole? Sono vere oppure è un sogno?”
Fonti di ispirazione:
Norbert Wolf, "Friedrich" Le opere, Taschen, 2015
Edmund Burke, “Inchiesta sul bello e il sublime”, 1757, Aesthetica, ed.2019
Immanuel Kant, “Osservazioni sul sentimento del bello e del sublime”,1764, Fabbri Editori ed.1996
Arthur Schopenhauer, “Il mondo come volontà e rappresentazione”,1819, Laterza, ed.2009
Wilhelm Friedrich Hegel, “Estetica”,1842, a cura di D.Giugliano, Einaudi Classici, ed.2017
John Ruskin, “Viaggio in Italia”, 1840-1845, a cura di A.Brilli, Passigli Editore, ed.2018
J. Gilbert & G.C. Churchill, “Montagne Dolomitiche”, 1864, a cura di B. Pellegrinon, Nuovi Sentieri, ed.2002
Karl Felix Wolff, “I monti pallidi. Leggende delle Dolomiti” (1925), Cappelli, ed.1987
Robert Adams, “La bellezza in fotografia”, Bollati Boringhieri, 1981
Dino Buzzati, “Le montagne di vetro”, a cura di E. Camanni, Vivalda, 1989
Dino Buzzati, “Sulle Dolomiti. Scritti dal 1932 al 1970”, a cura di M. A. Ferrari, Editoriale Domus, 2005
Marco Ferrazza, “Cattedrali della Terra”, Vivalda, 2008
Alberto Bregani, “La montagna in chiaroscuro”, Ediciclo Editore, 2017
Accademia adriatica di filosofia "Nuova Italia", www.accademianuovaitalia.it